lunedì 20 agosto 2012

short.

Qui si soffoca, e sono in camicia. E mi sento pure parecchio a disagio, per via della camicia. Penso "son qui per un lavoro di merda, e ho messo la camicia. Non ce l'avrà nessuno, la camicia".
Sono in anticipo, e così, verificata la correttezza del numero civico, mi aggiro mollemente alla ricerca d'un caffè. Devo muovermi lentamente, altrimenti chiazzerò il cotone di sudore. C'è gente che ci abita, qui, e non ci avevo mai fatto caso: costruzioni identiche al centro commerciale che le abbraccia sono adibite a variopinte celle abitative, del tutto indistinguibili dagli uffici tutt'intorno se non fosse per le tracce d'umanità disordinata sui minuscoli balconi. Ovunque, l'aria asettica ma decadente della grande svendita.  Un caffè nel bar vuoto, mi serve il figlio svogliato, smilzo e biondiccio della proprietaria impegnata con la contabilità, e poi m'incammino verso il portone. Sono le due, l'afa pare il desiderio e lo sforzo della Terra d'esser un altro pianeta. Ci sono le scale esterne, e persone che fumano. Nessuno ha la camicia. Una donna e una ragazzetta, entrambe sudamericane, scendono sorridenti dal terzo piano per raggiungere i fumatori: le loro cosce sono sfrontatamente immuni al sudore, così mi volto in fretta per evitare d'andar dietro al pensiero dell'inadeguatezza della mia carne all'estate. 
Al secondo piano della vicina palazzina, appeso al muro esterno accanto alla porta finestra del terrazzino, qualcuno ha appeso un quadro. Una tela, un paesaggio ad olio. Scogli, una costa verde rigogliosa, un cielo d'un blu ben più intenso del mare sottostante. Perché è lì? Immagino l'inquilino in mutande e canotta, in piedi, con la schiena rivolta a me come a tutto ciò che circonda la sua casa, impegnato a fissare quell'evocativa crosta marittima: respira lentamente, a pieni polmoni, tutto preso dalla ricerca d'immaginarie particelle di salsedine. Mi accorgo che è esattamente quello che sto facendo io, ora, inondandomi però le viscere di pulviscolo incandescente.
Il cellulare mi dice ch'è giunta l'ora, e m'incammino all'interno.
Dall'ascensore sbucano altre tre sudamericane, ridanciane. Al piano, la porta col logo giusto è aperta. Una stanza di trenta metri quadri massimo, una ventina di postazioni coi relativi operatori. Un nerd ciccione di circa vent'anni, e poi solo donne. Quasi tutte sudamericane, non saprei dire esattamente di dove: una la vedo di spalle, polposa tutta attillata in short zeppe e calze a rete, testa corvina gigantesca, un po' ovunque su di lei una generale mollezza fa capolino a suggerire l'età di chi dovrebbe esser prossimo alla pensione. Odore di palestra. Mi viene incontro una ragazzina, anche lei in short e canotta: sembra a malapena maggiorenne, mora, ricciola, i brufoli seccati dall'abbronzatura del fine settimana. Mi dice di aspettare lì per il colloquio, e poi si allontana.
Mi preparo all'incontro col suo boss, ma dopo un paio di minuti lei torna e mi fa accomodare ad una piccola scrivania al centro della stanza: sarà lei a farmi le domande di rito, e sospetto che sia proprio lei a dirigere l'intera baracca.
Io rispondo a bassa voce, m'imbarazza che tutti mi sentano. Ogni tanto, qualcuno che richiede il suo aiuto ci interrompe, lei si scusa, si alza, risolve e poi torna. Ha in tutto e per tutto l'aspetto di una che, al massimo, nella vita ha fatto per un paio d'estati l'animatrice nei villaggi turistici. Io invece sono uno strano tipo di vecchio, e ho pure questa cazzo di camicia.
"Ha già avuto esperienze di vendita?"
"Sì: ho fatto il rappresentante per un'azienda vinicola piuttosto prestigiosa"
"Posso chiederle come mai ha smesso, allora?"
"Mi sono messo a fare dell'altro"
"No, glielo chiedo perché qui cerchiamo anche dei commerciali, porta a porta. Hanno provvigioni migliori, ovviamente"
"Preferirei stare in ufficio."
Se voglio, lunedì prossimo potrò andare a frequentare una sua lezione, in cui spiegherà il lato tecnico del lavoro. Dopo qualche ora d'affiancamento, poi, sarò pronto ad iniziare il part-time.
"E per quanto riguarda la paga?"
"Allora: c'è un fisso di cinque euro all'ora, più la provvigione su ogni contratto. Per il fisso mensile, però, deve raggiungere la quota minima di quattro contratti al mese".
"Cioè, mi scusi: se non realizzo almeno quattro contratti, non ho lo stipendio?".
"Sì, beh: ma sono davvero il minimo, stia tranquillo. Abbiamo dovuto fare così perché la gente, prima, veniva qui solo per lo stipendio fisso"
"Pensa un po' te."
 Appeso alla parete davanti a me, c'è un grosso foglio con le risposte alle domande più frequenti, scritte col pennarellone blu: "sì, sul sito lei ha accesso alle stesse promozioni, ma non possono darle quello che invece le offriamo noi: un servizio personalizzato". Qui fuori, mi torna in mente, qualcuno ha appeso un paesaggio marino sul terrazzo: forse è un richiamo, come quei fischietti per attirare gli uccelli. Una mattina, il tizio in canotta aprirà la porta finestra e un'onda gli bagnerà i calzini.

Alcuni giorni prima, più o meno alla stessa ora, correvo a prendere un treno. Arrivato al semaforo, l'ultimo, quello che rimane rosso così tanto che ti viene il dubbio che qualcuno stia sfidando i viaggiatori ritardatari alla roulette russa dell'attraversamento scomposto con bagaglio variabile, mi accorgo della coppia in attesa alla mia destra. Padre e figlia, direi: lei sui dodici anni massimo, la bellezza buffa delle bimbe tutte serie, compite e curiose, lui oltre i cinquanta, quell'aria trasandata tipicamente genovese da pantaloncino corto, vinello bianco e cantautorato.
"Quello che voglio farti capire, è che non devi dare per scontato che tutto quello che vedi resterà così per sempre."
"È il progresso?"
"No, vedi: il progresso va avanti, avanti... abbiamo gli aerei, i treni sempre più veloci, avremo nuovi mezzi per muoverci e chissà cos'altro. Tutta la tecnologia per le guerre, gli elettrodomestici. Io ti sto parlando di quello che vedi guardandoti intorno, della gente per esempio. Può darsi che un giorno dovremo di nuovo lottare per mangiare, uccidere per un pezzo di pane."
Scatta il verde. Rimango alcuni istanti immobile, lasciandomi investire e sorpassare per un po' prima d'unirmi di nuovo al flusso di chi ha provvisoriamente una meta.