mercoledì 23 maggio 2012

riposo, soldato!

Quando gli dico che ho lavorato pure in università, come assistente al corso di scrittura creativa, mi dà una maschia pacca sulla spalla: "hai appena guadagnato dieci punti: io ho pubblicato già due libri, è la mia vera passione".
Dieci punti.
Ancora la sento, quella pacca. Come quando un piccione ti caca in testa, e continui a strofinarti senza sentirti mai veramente pulito.
E sì che nel complesso è anche amichevole, il tizio. Con serietà sorniona, è tutto un ribadire il suo privilegio avvicinandosi e allontanandosi da me con consumata sapienza: il lavoro è qualcosa da concedere con virtù e benevolenza e lui fa parte di questa nuovissima provvisoria casta di marchesi del grillo capaci di sorridere paterni mentre ti gettano dalla finestra la moneta arroventata.
Mi fa sentire ragazzo, alla visita per il servizio di leva: "ah! sei pure un artista, sei!" m'ha sfottuto il vecchio graduatissimo, per poi girarsi verso il suo sghignazzante lacchè come a schiaffeggiarlo "zitto!! che ne sai! e tu diglielo, che mica tutti possono essere artisti!!".
Ho male alla spalla: questa pacca è guano pesante come un macigno, per me che ormai son così semplice che sento l'anima spalmata sulla pelle.
Trattasi di colloquio per un posto di commesso e, ovviamente, per accedervi ho avuto bisogno di una raccomandazione. Dopo un paio di giorni, sarei venuto a sapere che il nuovo assunto è un docente quarantatreenne con tre figli, rimasto improvvisamente senza lavoro: sono una barzelletta ambulante, così sfigato da arrivar secondo pure in una gara di sfigati.
"Non bisogna assumere persone capaci: bisogna assumere persone disperate, perché possiamo fargli fare quello che vogliamo" ha detto candido durante una riunione uno dei miei ex capi, quello intoccabile con lo zio svizzero che gestisce i fondi neri dell'azienda. 
Quand'ero qui nella Superba ancora da poco, grazie a un'altra raccomandazione, riuscii perfino a ottenere un colloquio per lavorare in una piccola libreria "va bene: vieni qui qualche mese gratis, guardi come si fa, e poi vediamo come e se assumerti". Oggi, sicuramente accetterei.
Ancora un mese, e sarò senza sussidio. Ancora un mese, e scenderò un altro gradino.
La mia, è la stanchezza dei pionieri di second'ordine, della marmaglia di scorta agli esploratori, è l'esausto testardo trascinarsi di chi paga per l'azzardo dei condottieri, è l'esaurimento del vecchio fante costretto ancora e ancora al coraggio senza slancio: attraverso il tempo mi rende uomo tra gli uomini, e oltrepassando il presente misero m'impedisce d'esser davvero miserabile.
E dunque attendo l'estate, fiero di questo privilegio che inizia a sembrarmi una vocazione: è con birre danze e liquori, che la carne da cannone senza dio si prepara alla battaglia. E alla prova costume.








lunedì 14 maggio 2012

auguri, zio.

Oggi è il mio compleanno. Tra due anni, saranno quaranta.

Mi piace, avere anche amici un bel po' più giovani di me. Anche.
Mi permette di ricordare, tenendo la vividezza a cauta scientifica distanza, come è stato doloroso, da ragazzetto, vedervi diventare adulti approssimativi, e come sia ora irritante, da adulti, vedervi diventare feccia frolla.
E se pure spesso vorrei, davvero non mi riesce di disprezzarvi. Merito di quel passato che sfoggiate come un curriculum in versione party: ma non è rispetto, il mio, è semmai comprensione e tenerezza per l'umana flaccidità, e dunque, in fondo in fondo, fangosa autocommiserazione. E allora vai giù pesante con gli amarcord, coi com'eravamo bestiali e in fondo ingenui, tutta una gioventù che si finge di minimizzare per edificare però mitica a garanzia degli stronzi impresentabili che in realtà siamo. Ma non ci sarà alcun boom a salvarci, puoi solo sperare d'essere assecondato a morte e che nessuno venga a dirti quello che già sai.
Chissà perché, dopo i trenta, si finisce col pensare al comando come fosse un diritto, fingendo oltretutto di non accorgersi che, dietro la scrivania, le passioni diventano tic e l'adolescenza chiacchere da caffè solubile. Roba da tener lontano dal fegato.
"Tutti compagni, tutti in chiesa a battezzare i figli" dice un vecchio amico che sa.
Non avete avuto pietà per voi stessi e ora, sorpresa!, non ci sarà alcun boom a salvarvi, non ci sarà alcun fine a giustificare quei mezzi, niente di niente. È una buona notizia.
Ultimamente, penso spesso ai vostri figli, veri o ipotetici: l'esempio che gli darete sarà ciò che siete e desiderate o quello che eravate e speravate? E nella prima ipotesi, quanto tempo servirà affinché vi sorga il dubbio che vostro figlio sia, al di là di tutto, un emerito stronzo?    

Se avessi un figlio lo vorrei irrequieto, e poi proverei a spiegargli che quella specie di cosa enorme che si porta a spasso e non sa proprio gestire, tipo una rombante ribollente marea montante, non è lui, come potrebbe per impeto di bambinesco egocentrismo esser portato a pensare: figliolo, gli direi, tu non sei quella specie di fiume in piena, tu sei il contagocce attraverso cui spinge, tu sei il minuscolo stitico argine che trattiene quella roba lì che senti crescere e crescere, e quella roba lì che è come un universo urlante in eruzione, stando lì bloccata dal minuscolo rinsecchito buco di culo che finirai con l'essere inizierà a farsi stagnante e fetida nonostante la continua esponenziale prepotente crestita.
Rilassati, figliolo. Rilassati e lascia passare. Chiudi gli occhi, lentamente, e lascia passare.

"Dammi del tu: siamo coetanei, ho visto. Da quand'è che prendi il sussidio?"
"Da gennaio."
"Eh, guarda: il problema è che, alla tua età, costeresti all'azienda praticamente il doppio del tuo stipendio lordo."
"Eh, sì, è un problema. Mi rendo conto. Però..."
"Dove lavoravi prima sei stato licenziato?"
"No, no: è scaduto il contratto e..."
"No, perché vedi: per noi sarebbe meglio, se t'avessero licenziato."
Cristo, che sfiga.

giovedì 10 maggio 2012

editor torinese, gatto genovese.

Le nostre preghiere sono solchi scavati nelle sale d'aspetto.

Tempo fa, dopo un'attesa di un paio d'ore, incontrai il direttore di un noto mensile per cinefili: tutto ciò che ottenni dal tizio, celebre per la sua fotogenia in un ambiente in cui il più fico ha la faccia di chi chiama la mamma per farsi schiacciar via i punti neri, fu la perla di saggezza "io ho cominciato vendendo materassi".
È una vita che comincio, ciccio, e i posti per vender materassi son tutti occupati da gente con lauree più suadenti della mia: altri sessant'anni di cinema, e magari sarai riuscito a farti una vaga idea del mondo là fuori.

Fumo, disegno ovali muovendomi in ambienti ostili, penso che probabilmente avrei più possibilità cancellando la laurea dal curriculum.

Ad un incontro per orientare i vecchi disoccupati, noi vecchi disoccupati bisognosi d'orientamento incontriamo un giovanissimo torinese venuto a raccontarci, a spese della regione Liguria, che a fare il suo bellissimo lavoro nel posto di maggior prestigio in cui è possibile svolgere il suo bellissimo lavoro sono solo in due, e che per quel bellissimo lavoro, che consiste sostanzialmente nel valutare se, quanto e perché sono o non sono invece bellissimi i lavori degli altri, per una serie di fortunatissime coincidenze lui non ha neppure dovuto studiare. È un lavoro bellissimo che presuppone metodo e conoscenze davvero enciclopediche, ma lui ha talento, ci vuol suggerire, quel tipo di innata capacità rabdomantica che gli permette ad esempio di ciucciarsi i fondi destinati all'orientamento per venirci a dire in cambio che lavoro, nel suo campo, ce n'è a malapena per lui. Lasciate perdere, ci dice, non provate neppure, anche se siete laureati e capaci, solo a me è data la possibilità di mantenere quest'impossibile lussuoso ciuffo birbante scolpito in modo selvaggiamente preciso e il cui ritmico ciondolare ipnotizza, ora, questa platea di reietti impedendole di vedere il niagara di stronzate che son pagato per propinarle.

Il mio gatto arriva alle porte sempre prima di me. In quell'attesa di pochi secondi, prima che io arrivi a liberargli l'accesso, riesce a fare almeno tre giri su se stesso: è evidentemente una risposta animalesca all'attesa, uno di quei fenomeni in cui i nervi scavalcano testa, peli e ossa per lasciarti come in sospensione nel mondo, un po' come quando lo sguardo e ciò che lo sostiene rimangono fissi su qualcosa ma come persi in quella sfocatura che davvero non sapresti dire in che misura è coatta o volontaria. Ecco, mentre aspetto, disegnando coi passi il solito ovale sull'ennesimo pavimento sconosciuto, quest'epifania m'interrompe il passo per trasformare, implacabile, la mia presenza e il mio approccio al futuro immediatamente prossimo: sono una bestia, cazzo, sono una bestia, e forse questa porta verrà aperta proprio dalla mano che mi  darà la pappa.
Per riempire la ciotola, come per leccarsi poi ben bene fino al sottocoda, non sono richieste lauree specifiche. Al massimo, un DIPLOMA QUALSIASI.


domenica 6 maggio 2012

Il tuo nome sarà come il camogli.

Viaggio poco, ma mi ricordo sempre di scrivere il tuo nome in ogni cesso d'autogrill in cui mi trovo a passare. Accanto, col mio tipico leggibilissimo stampatello, segno il numero del tuo cellulare, a volte quello della ditta, altre il tuo personale.
E siccome mi trastullo immaginandoti rispondere alla chiamata mentre sei in riunione, o impegnato in qualcuno dei tuoi disastrosi tentativi di procacciamento, lascio scritto cose come "se sei dotato, telefonami e dimmi che chiami per sottopormi un grosso affare", oppure "chiamami e dimmi che hai grosse liquidità da investire in quel piccolo affare di cui ti hanno parlato un gran bene". Cose così.
Lo so: il mio gesto è fondamentalmente ambiguo, e potrebbe persino esser scambiato per  una sorta di  celebrazione situazionista del tuo vincente modo d'aderire al lercio della vita.
Comunque sia, lo faccio senz'odio, disprezzo o rancore.
È solo che sto tentando di diventar metodico. Aiuta, mi dicono.