giovedì 10 maggio 2012

editor torinese, gatto genovese.

Le nostre preghiere sono solchi scavati nelle sale d'aspetto.

Tempo fa, dopo un'attesa di un paio d'ore, incontrai il direttore di un noto mensile per cinefili: tutto ciò che ottenni dal tizio, celebre per la sua fotogenia in un ambiente in cui il più fico ha la faccia di chi chiama la mamma per farsi schiacciar via i punti neri, fu la perla di saggezza "io ho cominciato vendendo materassi".
È una vita che comincio, ciccio, e i posti per vender materassi son tutti occupati da gente con lauree più suadenti della mia: altri sessant'anni di cinema, e magari sarai riuscito a farti una vaga idea del mondo là fuori.

Fumo, disegno ovali muovendomi in ambienti ostili, penso che probabilmente avrei più possibilità cancellando la laurea dal curriculum.

Ad un incontro per orientare i vecchi disoccupati, noi vecchi disoccupati bisognosi d'orientamento incontriamo un giovanissimo torinese venuto a raccontarci, a spese della regione Liguria, che a fare il suo bellissimo lavoro nel posto di maggior prestigio in cui è possibile svolgere il suo bellissimo lavoro sono solo in due, e che per quel bellissimo lavoro, che consiste sostanzialmente nel valutare se, quanto e perché sono o non sono invece bellissimi i lavori degli altri, per una serie di fortunatissime coincidenze lui non ha neppure dovuto studiare. È un lavoro bellissimo che presuppone metodo e conoscenze davvero enciclopediche, ma lui ha talento, ci vuol suggerire, quel tipo di innata capacità rabdomantica che gli permette ad esempio di ciucciarsi i fondi destinati all'orientamento per venirci a dire in cambio che lavoro, nel suo campo, ce n'è a malapena per lui. Lasciate perdere, ci dice, non provate neppure, anche se siete laureati e capaci, solo a me è data la possibilità di mantenere quest'impossibile lussuoso ciuffo birbante scolpito in modo selvaggiamente preciso e il cui ritmico ciondolare ipnotizza, ora, questa platea di reietti impedendole di vedere il niagara di stronzate che son pagato per propinarle.

Il mio gatto arriva alle porte sempre prima di me. In quell'attesa di pochi secondi, prima che io arrivi a liberargli l'accesso, riesce a fare almeno tre giri su se stesso: è evidentemente una risposta animalesca all'attesa, uno di quei fenomeni in cui i nervi scavalcano testa, peli e ossa per lasciarti come in sospensione nel mondo, un po' come quando lo sguardo e ciò che lo sostiene rimangono fissi su qualcosa ma come persi in quella sfocatura che davvero non sapresti dire in che misura è coatta o volontaria. Ecco, mentre aspetto, disegnando coi passi il solito ovale sull'ennesimo pavimento sconosciuto, quest'epifania m'interrompe il passo per trasformare, implacabile, la mia presenza e il mio approccio al futuro immediatamente prossimo: sono una bestia, cazzo, sono una bestia, e forse questa porta verrà aperta proprio dalla mano che mi  darà la pappa.
Per riempire la ciotola, come per leccarsi poi ben bene fino al sottocoda, non sono richieste lauree specifiche. Al massimo, un DIPLOMA QUALSIASI.


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