lunedì 14 maggio 2012

auguri, zio.

Oggi è il mio compleanno. Tra due anni, saranno quaranta.

Mi piace, avere anche amici un bel po' più giovani di me. Anche.
Mi permette di ricordare, tenendo la vividezza a cauta scientifica distanza, come è stato doloroso, da ragazzetto, vedervi diventare adulti approssimativi, e come sia ora irritante, da adulti, vedervi diventare feccia frolla.
E se pure spesso vorrei, davvero non mi riesce di disprezzarvi. Merito di quel passato che sfoggiate come un curriculum in versione party: ma non è rispetto, il mio, è semmai comprensione e tenerezza per l'umana flaccidità, e dunque, in fondo in fondo, fangosa autocommiserazione. E allora vai giù pesante con gli amarcord, coi com'eravamo bestiali e in fondo ingenui, tutta una gioventù che si finge di minimizzare per edificare però mitica a garanzia degli stronzi impresentabili che in realtà siamo. Ma non ci sarà alcun boom a salvarci, puoi solo sperare d'essere assecondato a morte e che nessuno venga a dirti quello che già sai.
Chissà perché, dopo i trenta, si finisce col pensare al comando come fosse un diritto, fingendo oltretutto di non accorgersi che, dietro la scrivania, le passioni diventano tic e l'adolescenza chiacchere da caffè solubile. Roba da tener lontano dal fegato.
"Tutti compagni, tutti in chiesa a battezzare i figli" dice un vecchio amico che sa.
Non avete avuto pietà per voi stessi e ora, sorpresa!, non ci sarà alcun boom a salvarvi, non ci sarà alcun fine a giustificare quei mezzi, niente di niente. È una buona notizia.
Ultimamente, penso spesso ai vostri figli, veri o ipotetici: l'esempio che gli darete sarà ciò che siete e desiderate o quello che eravate e speravate? E nella prima ipotesi, quanto tempo servirà affinché vi sorga il dubbio che vostro figlio sia, al di là di tutto, un emerito stronzo?    

Se avessi un figlio lo vorrei irrequieto, e poi proverei a spiegargli che quella specie di cosa enorme che si porta a spasso e non sa proprio gestire, tipo una rombante ribollente marea montante, non è lui, come potrebbe per impeto di bambinesco egocentrismo esser portato a pensare: figliolo, gli direi, tu non sei quella specie di fiume in piena, tu sei il contagocce attraverso cui spinge, tu sei il minuscolo stitico argine che trattiene quella roba lì che senti crescere e crescere, e quella roba lì che è come un universo urlante in eruzione, stando lì bloccata dal minuscolo rinsecchito buco di culo che finirai con l'essere inizierà a farsi stagnante e fetida nonostante la continua esponenziale prepotente crestita.
Rilassati, figliolo. Rilassati e lascia passare. Chiudi gli occhi, lentamente, e lascia passare.

"Dammi del tu: siamo coetanei, ho visto. Da quand'è che prendi il sussidio?"
"Da gennaio."
"Eh, guarda: il problema è che, alla tua età, costeresti all'azienda praticamente il doppio del tuo stipendio lordo."
"Eh, sì, è un problema. Mi rendo conto. Però..."
"Dove lavoravi prima sei stato licenziato?"
"No, no: è scaduto il contratto e..."
"No, perché vedi: per noi sarebbe meglio, se t'avessero licenziato."
Cristo, che sfiga.

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