giovedì 22 agosto 2013

come sopra.

Seguiamo le nostre stesse tracce fino alla fine: a ritroso, mettiamo un piede dopo l'altro all'interno delle orme lasciate per arrivare sin qui.
Le orme son sempre vuote, per definizione.

So che hai diviso l'infanzia tra due padri, uno, acquisito, in campagna con mammà, e l'altro in città, gran elegantissimo avvocatone del diavolo impegnato con mani pulite mentre tu bimbetto ragazzetto l'ammiravi e desideravi a distanza scorrazzando per prati, campetti e provincia. Serve altro, per conoscerti? Cresci viziato, coltivando l'arroganza in risposta all'imbarazzo delle tue origini parzialmente campagnole.
Ma mancano gli aneddoti, quei piccoli dettagli quotidiani che poco a poco modellano l'immagine del sociopatico vincente. Avevi degli amici? Com'eri tra loro? Cosa pensavi pensassero di te? Come li hai persi? Mancano tutti quegli incontri e scontri microscopici importanti solo per te. E tutte le volte in cui hai creduto di capire davvero qualcosa di te stesso, ad esempio.
Quello che manca, è esattamente tutto ciò che andrà perso.

I figli delle merde lavorano tutta la vita alla successione, oppure mirano direttamente al prosciugamento del tesoretto immaginandosi fotografi, architetti, scrittori, artisti: in tutti i casi, che godano nel batter strade asfaltate oppure nel farsi finanziare ad oltranza struggimento e incomprensione, ciò che li muove è zuppo di desiderio di comando, prevaricazione e disprezzo assoluto per la massa. Persino per i più simili tra i loro simili.
Lo scempio ha sempre una storia ben delineabile, ed è sempre un affare di famiglia.
Bile, occhi, orecchie, coglioni: sono pur'io parte dei beni rinsecchiti che ostinatamente consumate. Per la gente come te l'esistenza stessa, intera, è territorio da colonizzare.
Sono nato esausto almeno quanto tu sei nato stronzo. Le risorse sono finite da un pezzo, e dunque i nostri ruoli son sì prestabiliti, ma già fuori dalla Storia.
Bisognerebbe estinguersi, togliere il disturbo senza manco salutar nessuno.

Lo scrittore che vive nel mio condominio mi piace. Difficile non aver simpatia per chi regolarmente si gode aperitivo o cena, in solitaria, al bar o alla trattoria della piazza. Sfrontatamente sereno, oltretutto. Aspetta da mesi il ritorno del figlio, zaino in spalla in esplorazione solitaria del Sud America. "È un viaggio di formazione", mi spiega orgoglioso mentre aspettiamo il turno dal fruttivendolo. S'è fatto vivo un'ultima volta prima d'inoltrarsi in una zona priva di qualsiasi possibilità di comunicazione, ha scritto d'aver capito di voler seguire le orme paterne e ha allegato alcuni capitoli da leggere. "È anche bravo", mi dice.
Figliare è l'unico modo per invecchiare aggrappati al presente? Pure per uno scrittore?
Non siamo che bestiacce, davvero.
Esistesse un dio, non aver concesso coscienza di sé alle piante sarebbe una crudeltà, un'idiozia sufficiente a farsi bandire dal suo stesso creato.

Ma probabilmente in questo momento i fiori sul balcone mi stanno osservando benevoli, meravigliosamente incapaci di compatirmi.




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