lunedì 25 giugno 2012

il feroce salatino.

Anni fa, andai a Roma con un amico. Insieme, avevamo ideato e scritto un format televisivo: sostanzialmente, una sit-com con all'interno vere interviste a personaggi famosi che affrontano scottanti temi esistenziali, il tutto garrulamente ambientato in un obitorio.  Una casa di produzione si mostrò interessata: restammo ospiti da loro un po' di giorni, per apportare alcuni aggiustamenti che loro ritenevano indispensabili per riuscire a vendere il bizzarro prodotto. Il boss era una radicalricca vecchia femminista: ricordo chiaramente che in casa aveva il telecomando della tivvù a forma di cazzo.
Il cambiamento fondamentale, imprescindibile a detta della tizia e della giovane sceneggiatrice lesbica chiamata ad incanalare e dirigere la nostra creatività, era "l'inserimento di un'infermiera maggiorata". Senza quel personaggio prosperoso, discinto, più bagascesco che boccaccesco, potevamo scordarci d'ottenere un contratto. Senza un po' di figa, c'insegnarono serieserie quelle due suffragette da anni zero, non si va da nessuna parte.
Ci son ruoli da rispettare, perché ci son bisogni da appagare: per ogni stronzo pronto a spiegarmelo, ci son io lì apposta a farmelo spiegare. 

Quella strada la faccio almeno due volte al giorno, in vespetta. Fermo al rosso, un agitarsi anomalo al limite destro del campo visivo mi costringe allo scatto, manco fossi in pericolo. La scritta "tutta un'altra banca" sovrasta la vetrina che esibisce tutta quanta la minuscola filiale. L'ufficio è stracolmo. Impiegati pigiati l'uno contro l'altro s'ingozzano di tartine, bevono, qualcuno indossa il cappellino conico di festosa ordinanza, scorgo due, tre braccia alzate che immortalano a casaccio dall'alto con lussuose digitalone la minifolla gaudente. Non si sente alcun vociare, solo un ovattatissimo tunza-tunza. Eppure, gli impiegati incravattati mostrano bocche urlanti, e vedo chiaramente colleghe sottolineare risate di circostanza gettando leggermente indietro la testa. Qualcuno ha persino la camicia rosa.
Immagino varianti, a raffica: entro e inizio a mitragliare, la vetrina spalmata di sangue tartine frattaglie; entro e vomito a spruzzo scatenando complessivo degenero intestinale, sempre il vetro spalmato però di bile pan carrè patè parzialmente digerito; entro con una banda di barboni nudi in preda a folle priapismo, di nuovo il vetro su cui si spalmano mani e volti stropicciati dagli spasmi per la lercia sommaria giustizia sodomita; entro con una pompa da vigile del fuoco dopo aver sigillato ermeticamente il locale, la vetrina trasformata in acquario in cui boccheggiano disperati impiegati moribondi... 
Mentre sto ancora visualizzando cartoonesco sadismo, divento conscio della pochezza delle mie fantasie, automatiche, superficiali, finte: ho indossato in un attimo, senza esitare, quel ruolo di comparsa tapina, di spettatore rancoroso che la ritualità della situazione ha predisposto per me. Alcune cose sono perfette così come sono, contengono in sé la propria parodia. Bisogna stare attenti, fare l'esercizio d'osservarle senza partecipazione.

Mollo la frizione e riparto, in mente l'ultima cena natalizia aziendale alla quale ho presenziato. I colleghi che godono del buffet, vini e liquori per lubrificare danze e troieggiamenti, i grandi capi che cenano in disparte, serviti al tavolo, e poi si lasciano accompagnare in giro per le sale come allo zoo, affinché possano assistere al divertimento dei dipendenti, gente semplice semplice da soddisfare. Ognuno col proprio ruolo, nel rito che ha la funzione di render vero esattamente quel ruolo. Nient'altro da aggiungere a questa specie di tautologia in atto, nessuna fantasia con cui rivestirla, deriderla, spiegarla, esorcizzarla: non son più tempi da fantozzi, questi. Ridicolo e ferocia sono il pane spezzato per tutti, siam gente cresciuta a messa e accettiamo finalmente il nostro posto nel mondo.
Non se ne esce, penso serpeggiando nervosamente nel traffico, non se ne esce.
Avremo sempre bisogno di mammà che ci dica "siediti qui, aspetta qui, rimani qui": al massimo, forse, i riti si possono rimpiazzare con altri riti. Impossibile liberarsene.
Sospetto che galleggiare nel vuoto non piaccia neppure agli astronauti.

Ci vorrebbero nuove, sorprendenti, variopinte, assurde, sbrilluccicanti ghigliottine in piazza.

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