lunedì 18 giugno 2012

insaccato.

All'università dove i padroni parcheggiano i figli in attesa di farli spadroneggiare per il mondo, un ragazzone superfichissimo mi offrì cinquanta euro per fare al posto suo il compito che avevo assegnato, in aula, appena mezz'ora prima. Stavamo salendo, sulle scale mobili, e lui era dietro di me. Rimasi un po' a fissarlo. Entrambi impassibili. No, non stava scherzando. Mi chiesi come dovevo apparire ai suoi occhi, come m'avesse valutato prima d'azzardare la proposta, quali fossero i suoi criteri.
"No. Non si può. E comunque cinquanta euro sono pochi."

Nonostante questo percorso sia chiaramente un processo, nonostante quest'obbligato inarrestabile divenire, per chi mi circonda rimarrò comunque quell'immutabile fotografia d'un coglione scattata chissà dove e quando a mia insaputa.
In questa città vivono i miei parenti ricchi. Ad alcuni di loro, con moderazione e parsimonia, voglio persino bene.
Mai mi hanno offerto un pranzo o un caffè nei miei giorni disoccupati, mai hanno cercato la mia compagnia. Quando ingoiando pure l'ultimo residuo d'orgoglio mi sono deciso a chieder loro aiuto, hanno preso tempo per potermi ignorare con calma. Ecco, questo è doloroso: vedere che non c'è niente di romantico neppure nell'essere poco raccomandabile.
Son queste cose che tritano sul serio le ossa, così come è la rabbia, poi, a tener insieme ciò che resta. Come un würstel, uscirò da questa macchina masticatrice complessivamente più insaccato che incazzato, ne uscirò cioè non davvero indigesto come vorrei, ma ben preparato per il prossimo definitivo sbrano, ghiottoneria ingegneristicamente progettata per palati ignoranti.

Un noto quotidiano, tempo fa, mi offrì un lavoro: per le pagine locali, avrei dovuto cercare e scrivere notizie ambientate nel quartiere in cui vivevo. Il tizio, in redazione, specificò poi che tali notizie non avrebbero dovuto essere "per forza vere", ma che l'importante era raccontare storie, preferibilmente di cronaca nera o rosa, dal "sapore folcloristico".
"Ti paghiamo dieci euro al pezzo: alcuni nostri collaboratori riescono a pubblicarne anche dieci al mese". Nessuno m'avrebbe mai chiesto di documentare la veridicità dei pezzi, potevo star tranquillo.
Rifiutai. Intendiamoci: rifiutai per la miseria del compenso, mica per altro.
Ho fatto pur'io la mia bella parte per rendere il mondo un posto peggiore, davvero. 
È il candore di questa gente, che non cessa di sfinirmi. Persino il cinismo è diventato roba da perdenti, e aver dimostrato per gentilezza un briciolo d'insincero interesse per il lato fiabesco dell'incarico mi fece sicuramente apparire, agli occhi di quell'impiegato dell'informazione, uno strano tipo di coglione.

È folclore. Non sta succedendo davvero, sta succedendo nel mio quartiere, sta succedendo adesso.
Sono un tipo poco raccomandabile.
 





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