venerdì 20 aprile 2012

step inside.

La fine s'avvicina, e lo sappiamo tutti: intorno, è tutto un fiorir di classici SEGNI NEFASTI, e il fatto che non si riesca che a riderne è proprio l'ulteriore e decisivo segnale.

Qualche giorno fa, nel locale dove piuttosto spesso vado a pranzare (mi costa meno che fare la spesa, davvero: il lusso si fa beffe della sopravvivenza, spesso e direi volentieri, giusto per tener allenato e scattante il gusto allo sperpero), ho rivisto lo stronzone che a suo tempo mi fece il colloquio di lavoro per il posto su cui ho poi effettivamente sistemato per ben quattro anni le mie insofferenti chiappette. Appena agganciato il suo sguardo (risponde al mio psichedelico ghignante saluto con un certo turgido imbarazzo), ignoro la panterona al tavolo con lui per concedermi la lussuria di fissargli con vistosa insistenza le mani.
Gli manca un dito. Indice. Me l'avevano detto, a suo tempo.
Eppure, durante quel lungo decisivo colloquio mica me ne accorsi.
Si è sempre in due a fingere, in quelle situazioni: io fingevo d'essere esattamente il PUPAZZO che immaginavo cercassero, e lui fingeva d'essere un tizio manager vincente dotato nel complesso di ben dieci dita (considerando solo le estremità superiori: i possibili sconcertanti segreti custoditi da quelle inferiori sono qui irrilevanti).
Bravi entrambi, sì, ma la sua performance fu innegabilmente superiore.

Quella è gente che non freghi mai davvero, manco quando sei proprio convinto che sì, perchè lo schifo vero, con tanto di correlato adeguato travisamento, non s'improvvisa, richiede anzi una dedizione totale lunga una vita intera, e nel frattempo, lo sappiamo bene, alla servitù è riservata solo l'estrema snervante umiliazione di mantener GIOCOSA L'ATMOSFERA mentre grotteschi moncherini si scarpettano via tutto il buffet.

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